Nella nostra Chiesa una ventata d’aria fresca

di Paolo Montagna 05/10/2012


Giovedì 11 ottobre, lo sappiamo, e’ una giornata importante. Si apre l’Anno della Fede, indetto da Papa Benedetto volutamente in concomitanza con il 50mo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II.

Detta così, questa frase suona molto asettica, come uno di quei comunicati ufficiali che profumano d’incenso ma non toccano il cuore delle persone. Cosa può interessare l’Anno della Fede a chi – noi per primi, ahimè – di fede ne ha proprio poca, o la memoria del Concilio a chi – come i nostri giovani – ne ha forse sentito parlare in poche righe su un libro di storia, come di un evento del secolo scorso di cui si è persa ogni traccia.

Viene da dire: ma che cosa davvero interessa a noi cristiani? a noi della comunità ecclesiale pavese, che ci accingiamo a vivere insieme la grande festa della riapertura del nostro Duomo?

Forse l’invito che il Papa, il Vescovo ci fanno è proprio questo: torniamo all’essenziale, al senso profondo della nostra fede e della nostra esperienza cristiana.

Troppe volte siamo raggiunti e ci lasciamo distrarre da cose esterne, da ciò che ci viene presentato o spacciato per religiosità, da letture della realtà ecclesiale dettate da giudizi o distorte da pregiudizi, e queste “maschere” sembrano il cuore della fede e della Chiesa. E forse anche per questo il Papa nell’anniversario del Concilio ci dice: riscopriamo il senso profondo della nostra fede. E il Vescovo, nel rientrare in Cattedrale, ci chiede: rendiamoci disponibili a una full-immersion nella lettura integrale della Bibbia.

E allora, nello sforzo di liberarci da tutte le zavorre e i fronzoli che ci impediscono di andare all’essenziale, forse dovrebbe interessarci (nel senso di “I care”) che tutto ciò che viviamo nel nome di Gesù – la nostra stessa fede, la partecipazione all’Eucaristia, l’appartenenza alla Chiesa, alla parrocchia, a un gruppo o un’associazione – fosse estremamente autentico e lasciasse un segno forte dentro di noi.

Credo in Dio e in Gesù Risorto: Lui mi e’ vicino, sento la Sua presenza con me, in ogni momento della mia vita. Vado a Messa: sto con Gesù, lo ricevo

nell’Eucaristia, sento il calore dei fratelli che pregano con me. Vivo un’esperienza cristiana (ma anche: sto in famiglia, al lavoro, mi relaziono con i miei fratelli, vicini e lontani, di ogni provenienza ed estrazione…): è la mia testimonianza di fede e vita, mai disgiunti ma sempre intersecati come deve essere nella mia condizione di laico.

Una Chiesa che dica questo, e null’altro, è la Chiesa che il Concilio ci presenta. Fu una rivoluzione, sia nei segni esteriori (la liturgia nella propria lingua, l’accesso a tutti alla Parola di Dio…), sia nel significato profondo (il dialogo e l’apertura verso tutti gli uomini, la valorizzazione dei laici…). Lo Spirito portò nella Chiesa una ventata di aria fresca salutare, che per parecchi anni molti di noi abbiamo respirato. Poi (forse per “paura di ammalarci”?) si è avuta la sensazione che le finestre che lasciavano entrare quest’aria fresca siano state un po’ chiuse, e forse è ora di riaprirle, con forza e convinzione.

L’Azione Cattolica ha intitolato l’incontro di preghiera col Papa che rievocherà il Concilio l’11 ottobre prossimo (e che anche noi proporremo a Pavia, in Carmine alle ore 21: si veda l’invito apposito su questo numero del Ticino) “La Chiesa bella del Concilio”. Un titolo semplice ma tanto significativo. La Chiesa che tutti noi sogniamo, e che vorremmo sempre vedere nelle nostre comunità parrocchiali. La Chiesa che tanti testimoni, dai grandi papi Giovanni XXIII e Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto, ad altre figure altrettanto grandi di preti e laici ci hanno sempre presentato.

L’ultimo di questi testimoni, il Card. Martini scomparso poche settimane fa, per tanti di noi è e sempre sarà un punto di riferimento importantissimo per il nostro impegno ecclesiale. Sulla Chiesa, Martini diceva così: “Un tempo avevo sogni sulla Chiesa. Una Chiesa che procede per la sua strada in povertà e umiltà, una Chiesa che non dipende dai poteri di questo mondo… Una Chiesa che dà spazio alle persone capaci di pensare in modo più aperto. Una Chiesa che infonde coraggio, soprattutto a coloro che si sentono piccoli o peccatori. Sognavo una Chiesa giovane. Oggi non ho più di questi sogni. Dopo i 75 anni ho deciso di pregare per la Chiesa”.

Sembrano parole amare di un vecchio disilluso. Io credo invece che siano le parole più forti e autentiche di un grande Pastore che ha tanto amato la sua Chiesa da capire che il modo migliore di servila è stato pregare fino all’ultimo giorno per lei. A noi (che abbiamo meno di 75 anni…) il compito di raccogliere questa preziosa eredità, e il dovere, l’impegno, la passione di mettercela tutta per rendere la nostra Chiesa sempre più bella.

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