L’attualità del Priore di Barbiana – Intervista a Rosy Bindi

Don Lorenzo Milani, sacerdote ed educatore straordinario, nasceva il 27 maggio di cento anni fa.

«Ci sono voluti cinquant’anni perché un pontefice, Papa Francesco, restituisse piena cittadinanza al pensiero e all’operato di don Lorenzo» ha sottolineato Rosy Bindi, ex ministro e presidente del Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita del sacerdote. «È stato un prete sempre sostenuto da una fede profonda, appassionato e obbediente, ma anche una figura “scomoda”, che ha sofferto molto per la Chiesa». Quella di don Milani è stata una vita sconvolta dalla compassione viscerale per i ragazzi senza speranze, quelli “derubati” del futuro già da adolescenti. Un messaggio di uguaglianza e cura particolare per i giovani che oggi sembra essere più attuale che mai. Anche se, al suo tempo, «non era un mistero la diffidenza nei suoi confronti da parte della Curia fiorentina e vaticana». Dopo il periodo a San Donato di Calenzano, infatti, dove aveva fondato una scuola popolare, fu inviato quasi in “esilio” nel 1954 nel paesino montano di Barbiana, dove con una manciata di studenti fu capace di sognare un concetto rivoluzionario di educazione.

«Don Lorenzo era insofferente per una fede praticata per abitudine – ha continuato Bindi -, e ancora oggi è dirompente il suo esempio di amore per gli emarginati». Nessuno, dunque, doveva restare senza una seconda opportunità. Tutti dovevano potersi interessare, aprire un giornale e farlo diventare il proprio libro di storia collettiva. «Barbiana è stata un esempio di innovazione pedagogica, che metteva insieme il lato tecnico con la teoria». Era una scuola a tempo pieno, senza ricreazione né vacanze, dove si dovevano formare cittadini consapevoli. Cruciale nel Priore fu il sentimento di dolore profondo per le disuguaglianze sociali. Fare scuola, «servire i figli degli operai e dei contadini, era il suo modo per servire la Verità, per riscattare i poveri e insegnare loro a tenere la testa alta nel mondo».

Eppure, Don Lorenzo non era nato povero tra i poveri, ma abbracciando la chiamata di Dio, i poveri li aveva scelti. «Da rampollo di famiglia borghese, si era lasciato alle spalle tutti gli agi.  «Aveva capito da subito che l’unica soluzione per mettersi al servizio degli ultimi era abbattere il muro di ignoranza che li teneva fuori dalla vita sociale e religiosa. Doveva aiutarli a fare loro la “parola”, sia quella sacra della Bibbia che quella più laica, della Costituzione, delle leggi, dei contratti di lavoro. Cos’altro vuol dire quell’“I Care”, usato in contrapposizione al “me ne frego” dei fascisti, se non un invito a partecipare? Quel “mi importa” è proprio il cuore della buona politica che affronta i problemi reali e forma i cittadini». 

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