Luca Frigerio, Azione Cattolica di Pavia e Università di Firenze
Papa Francesco, con il messaggio in occasione della 58ª Giornata della Pace del 1° gennaio 2025, ha voluto ridare centralità a un’importante tematica giubilare: il condono del debito estero dei paesi in via di sviluppo. L’appello del Pontefice è stato accolto da varie associazioni del mondo cattolico italiano, le quali si sono attivate per creare processi di dialogo sul condono del debito. In particolare, è nata la campagna “Cambiare la rotta. Trasformare il debito in speranza”, collegata all’iniziativa globale “Turn Debt into Hope”, promossa da Caritas Internationalis. L’obiettivo è sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi della pace, della giustizia, dell’ambiente e della solidarietà e mobilitare i governi del mondo per il condono del debito.
Se l’Azione Cattolica Italiana è impegnata in prima linea in questa campagna, nel proprio piccolo l’Azione Cattolica di Pavia ha organizzato un incontro il 27 marzo presso l’Opera Bianchi (altro materiale nell’area riservata del gruppo I Care)
Due ospiti d’eccezione, da anni impegnati sulle tematiche del debito dei paesi del sud del mondo: Riccardo Moro, economista e docente di Politiche dello Sviluppo presso l’Università di Milano, contribuì, alla fine degli anni ‘90, ad animare la prima campagna per la remissione del debito lanciata dalla Chiesa italiana. Tra le numerose esperienze in materia di debito, coordinò le operazioni di conversione del debito in Zambia e Guinea, promosse durante la campagna dell’anno giubilare. Ad affiancarlo ci sarà Gianni Vaggi, economista e docente di Economics and Management of Cooperation and Development presso l’Università di Pavia. Esperto di finanza per lo sviluppo sostenibile, ha partecipato a diverse missioni in Africa subsahariana e Medio Oriente ed è stato, per anni, direttore del Master in Cooperazione e Sviluppo presso il Collegio Borromeo.
L’intento di questo articolo è fornire al lettore alcuni approfondimenti per comprendere al meglio le ragioni storico-economiche dell’appello del Papa, oltre a chiarire alcuni concetti di base per contestualizzare la discussione che si terrà a Pavia il 27 marzo.
Le cause del debito estero
Spieghiamo perché questa questione è così rilevante. I paesi in via di sviluppo hanno un’enorme necessità di finanziare una vera e propria trasformazione socioeconomica, ponendo al centro il benessere dei propri cittadini. Supponiamo che uno Stato africano voglia costruire una nuova ferrovia con un moderno treno ad alta velocità per collegare due città: quale azienda, all’interno dei confini nazionali, possiede le tecnologie e le conoscenze per realizzare questa moderna ferrovia in tempi rapidi? Probabilmente nessuna. Così, lo Stato si rivolge a un’impresa estera, magari italiana.
Tuttavia, quando uno Stato di un paese in via di sviluppo deve pagare imprese estere, di solito non può utilizzare la moneta locale: esiste una gerarchia nelle valute internazionali. Al produttore italiano non servono milioni di scellini kenioti o kwacha zambiani (che, tra l’altro, tendono a svalutarsi rispetto alle monete più forti); egli vuole essere pagato in euro o, al massimo, in dollari, le valute più importanti per le transazioni internazionali, sulle quali può sempre contare come mezzi di pagamento per operazioni sovranazionali. Qui sta il punto cruciale della questione del debito: la disponibilità di valuta internazionale è limitata dalla posizione dei conti esteri. Nel caso dei paesi in via di sviluppo, spesso accade che la bilancia commerciale sia negativa (le importazioni superano le esportazioni) e che i flussi di capitale in entrata siano ben lontani dall’essere sotto il controllo nazionale (in quanto soggetti a imprese multinazionali estere). Resta allora un’unica via per finanziare la costruzione di questa ferrovia: lo Stato contrae un debito in valuta estera. Se estendiamo il caso della ferrovia, appaltata a un’impresa estera, a un intero pacchetto di progetti di sviluppo sostenibile, che richiedono conoscenze, tecnologie, materiali e macchinari importati dall’estero, emerge uno Stato con un ampio debito pubblico in valuta estera.
I costi del debito estero
Quali sono i rischi e i problemi legati al debito estero? Innanzitutto, esso è soggetto alla politica monetaria delle valute internazionali: aumenti dei tassi nel nord del mondo comportano un incremento del costo del debito per il sud del mondo. Inoltre, questo tipo di debito è estremamente sensibile alle variazioni del tasso di cambio: se la valuta locale si svaluta rispetto alla valuta estera, il peso del debito sull’economia nazionale aumenta. Ne consegue che i tassi di interesse siano piuttosto elevati, con premi per il rischio di default e di svalutazione: per convincere gli investitori esteri privati, spesso riluttanti a prestare valuta estera, si è costretti a promettere alti rendimenti. Dato l’elevato costo, accade frequentemente che un’ampia parte delle finanze pubbliche in valuta estera venga destinata al pagamento degli interessi, a scapito della spesa per lo sviluppo sostenibile. Nelle situazioni più instabili, prossime al default, può capitare che un paese debba indebitarsi ulteriormente per ripagare un debito estero precedentemente accumulato: in tali casi, nessun centesimo viene utilizzato per finanziare lo sviluppo. Infine, soprattutto quando i creditori sono altri Stati o istituzioni internazionali, i governi possono subire pressioni politiche o essere costretti ad adottare politiche economiche inadeguate.
La somma di queste problematiche rende il debito estero un enorme fardello per il già fragile sviluppo socioeconomico di un paese del sud del mondo. Il condono di questi debiti potrebbe, quindi, liberare numerose risorse da destinare al miglioramento socioeconomico.
Giubileo e debito: un legame antico per una giustizia sempre attuale
A questo punto viene da chiederci: cosa c’entra il condono del debito dei paesi in via di sviluppo con un evento come il Giubileo? Il concetto di Giubileo, radicato nella tradizione ebraica e ripreso con forza nel cristianesimo, porta con sé un’idea potente: il “reset” periodico delle disuguaglianze socioeconomiche per ristabilire equilibrio, giustizia e armonia nella comunità. Nella Torah, il Libro del Levitico (25, 8-28) istituì il Giubileo ogni 49 anni – sette cicli di sette anni – come un momento di liberazione: i debiti furono condonati, le terre restituite ai proprietari originari e gli schiavi liberati. Fu un meccanismo che, come lo Shabbat impone il riposo ogni sette giorni, offrì un respiro generazionale, un ritorno all’uguaglianza originaria voluta da Dio.
La tradizione ebraica del condono giubilare assunse una nuova forma di respiro globale negli ultimi giubilei cristiani. Fu, in particolare, Giovanni Paolo II che, nel 1994, con la lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente, rilanciò il Giubileo come un’occasione per affrontare le ingiustizie del mondo contemporaneo. «L’anno giubilare doveva restituire l’eguaglianza tra tutti i figli d’Israele», scrisse il Pontefice, sottolineando come questo tempo speciale fosse un richiamo alla protezione dei deboli e un monito ai ricchi: la giustizia sociale non è negoziabile. Preparando il Giubileo del 2000, Giovanni Paolo II fece della questione del debito internazionale un pilastro centrale, proponendo «una consistente riduzione, se non proprio il totale condono», dei debiti che gravavano sulle nazioni più povere. Per il Papa, il Giubileo non fu solo un evento spirituale, ma un’opportunità concreta per evangelizzare i poveri – come Cristo aveva annunciato – e per promuovere processi di sviluppo attraverso la cooperazione internazionale.
Dal Levitico al Jubilee 2000: una mobilitazione globale
Sebbene Giovanni Paolo II diede un impulso decisivo alla tematica del condono del debito nel contesto cattolico, il movimento per la cancellazione del debito internazionale prese piede nel mondo anglosassone già all’inizio degli anni ‘90. Attivisti britannici, sostenuti dall’arcivescovo di Canterbury, lanciarono la campagna Jubilee 2000, un’iniziativa che trasformò un’idea teologica in un’azione politica globale. Con il supporto di figure di spicco come Bono degli U2, Muhammad Ali e Thom Yorke dei Radiohead, Jubilee 2000 divenne una coalizione internazionale, che coinvolse oltre 40 paesi, guadagnando una risonanza senza precedenti. Il mondo cattolico, con il Papa in prima linea, si unì a questa causa, rendendo il Giubileo del 2000 non solo un momento di celebrazione e comunione spirituale, ma anche un appello per la giustizia economica globale.
Il messaggio fu chiaro: il debito estero, che soffocava le economie dei paesi più poveri, costituì un ostacolo alla dignità umana e allo sviluppo. Giovanni Paolo II, in Tertio Millennio Adveniente, lo definì un fardello che «pesa sul destino di molte nazioni», un’ingiustizia da affrontare con urgenza. La campagna Jubilee 2000 e l’impegno del Papa trovarono eco nelle politiche delle istituzioni internazionali, portando a risultati concreti: l’iniziativa HIPC (Heavily Indebted Poor Countries) del 1996, rafforzata con HIPC II nel 1999, e successivamente l’MDRI (Multilateral Debt Relief Initiative) del 2005 cancellarono miliardi di dollari di debito per i paesi più vulnerabili.
Un problema irrisolto e il messaggio di Francesco
Allora, come mai, nonostante il successo delle iniziative di condono del debito, venti anni dopo c’è ancora un Papa che chiede la cancellazione del debito dei paesi del sud del mondo? Se effettivamente questi paesi poterono accelerare la propria crescita nei primi anni del nuovo millennio, non riuscirono, tuttavia, a cambiare i motivi strutturali che inducono un paese a indebitarsi con l’estero. In parole povere: il debito, temporaneamente ridotto, è stato presto ricostruito per finanziare le sempre più urgenti politiche di sviluppo. A rendere particolarmente insostenibile questo nuovo indebitamento sono stati due principali fattori: un aumento significativo del costo del debito, dovuto a una quota sempre più ampia di creditori privati; le contingenze storiche: la pandemia, le guerre e un clima internazionale sempre più isolazionista hanno spinto i paesi del sud del mondo a un eccessivo indebitamento, forzato dalla necessità di resistere all’impatto delle avversità.
È in questo contesto che si inserisce il messaggio di Papa Francesco. Il Pontefice, tuttavia, non si è limitato a rilanciare l’appello di Giovanni Paolo II. Ha aggiunto, in particolare, due considerazioni estremamente attuali. Primo: il condono del debito non è un atto “benefico” da parte dei paesi benestanti verso i paesi più poveri, ma un vero e proprio atto dovuto, dal momento che vi è una controparte di debito “ecologico” del nord verso il sud del mondo. Il Papa, infatti, ci ha ricordato come il Nord abbia prosperato a spese della capacità rigenerativa e del benessere ambientale del Sud, contribuendo a disuguaglianze globali e cambiamenti climatici, che colpiscono soprattutto le regioni più povere. In secondo luogo, il Pontefice si è auspicato un cambiamento dell’architettura finanziaria dello sviluppo in favore di nuovi meccanismi basati sulla solidarietà e l’armonia dei popoli, e non su principi di un mercato guidato dalle logiche del profitto. Solo in questo modo si potrà fare un passo avanti verso la rottura del circolo vizioso di indebitamento e limitata crescita socioeconomica.
Per concludere, il Giubileo, con il suo richiamo al condono e alla solidarietà, attualizzato nel messaggio di Papa Francesco, ci sfida a ripensare il nostro sistema economico globale. Come sottolineava Giovanni Paolo II, l’impegno per la giustizia e la pace è «un aspetto qualificante» della missione cristiana. Forse, in un’epoca di crescenti squilibri, il modello del “reset” generazionale non è solo un’eredità del passato, ma una proposta per il futuro: un invito a ristabilire l’armonia, non solo con Dio, ma tra tutti i popoli della Terra.