Rigenerare la Speranza: l’Ac tra sinodalità e missione

Il Presidente nazionale Notarstefano traccia le coordinate di un’AC impegnata a vivere il Vangelo con coraggio e creatività, relazioni autentiche e fraterne

La celebrazione dell’Assemblea Nazionale, unitamente all’incontro dell’Ac in piazza San Pietro con Papa Francesco, sono stati unanimemente percepiti da coloro che hanno partecipato come un dono straordinario che ha dato coraggio e speranza, un ulteriore motivo di gratitudine per un’esperienza associativa capace di custodire la bellezza originaria e generativa delle relazioni semplici e autentiche che maturano nella condivisione fraterna e quotidiana della vita, nel servizio ecclesiale e nell’impegno civile.
Al cuore di tale esperienza vi è l’esercizio della vita democratica e dello stile sinodale che cercano continuamente una sintesi originale e creativa nella pratica associativa: incontro e confronto ma anche ascolto e condivisione.

Posta a compimento di un lungo e articolato itinerario che ha coinvolto soci e simpatizzanti a livello parrocchiale diocesano e regionale, l’Assemblea nazionale si è rivelata un’occasione preziosa per fare il punto sulla vita associativa, che, dopo il triennio iniziato nella fase post-pandemica, ha mostrato un processo in atto di rigenerazione e rifioritura. L’associazione è, da un lato, più consapevole delle sfide culturali della comunità cristiana dentro una società che “non lo è più” e, dall’altro lato, si rivela capace di riconoscere questo tempo di attraversamento e di spoliazione come un kairòs che incoraggia l’Ac, insieme a tutte le Chiese che sono in Italia, a procedere con più audacia e creatività nel cammino di rinnovamento rappresentato dalla conversione missionaria e sinodale che papa Francesco ha mostrato a tutta la Chiesa universale.

Come laici cristiani impegnati ad impastare la fede con la vita, nella concretezza dell’esistenza quotidiana a livello personale e comunitario, siamo profondamente convinti che in questo cambiamento di epoca abbiamo bisogno più che mai di lasciarci provocare dal Vangelo e di aprirci con più coraggio alle provocazioni della fede che indicano una trasformazione profonda che ha come cuore la conversione personale sinodale ed ecologica più volta ribadita dal magistero di Francesco. Abbiamo avuto modo di condividere, tanto nell’itinerario assembleare quanto nell’elaborazione del documento finale, quanto l’Ac stia procedendo con entusiasmo lungo questo percorso, rileggendo tutta la vita associativa in chiave missionaria, come richiesto dal Progetto formativo aggiornato.

Una Chiesa più evangelica, povera per i poveri, inclusiva e aperta a “tutti, tutti, tutti”, più sobria nelle sue forme e nelle sue strutture, più delicata e accurata nell’utilizzo di parole e gesti che cercano sempre l’incontro e il dialogo, a servizio della comunità e appassionata nel costruire alleanze e reti fraterne con chi si prende cura del Bene di “noi-tutti”, è la casa dove tantissimi, donne e uomini, adulti e giovani, oggi si ritrovano, sperimentando un cammino di fede un po’ più inquieto e libero che non si accontenta né si accomoda e che si riconosce oggi nella forma associativa e nel Progetto formativo dell’AC.
Una casa dove tantissime persone, soprattutto giovani, sentono di poter offrire non solo il proprio contributo ma anche esprimere il “meglio di sé”, coltivando i propri talenti ed esercitando una vita cristiana gioiosa che non si contenta di occasionali pratiche di intrattenimento religioso, ma “convoca” e “provoca” alla santità come espressione più generativa per trasformare il mondo.
Non crediamo di essere un’isola felice. Ci sentiamo vicini a tante realtà vive, nella Chiesa e nella società italiana, che in questo tempo caratterizzato da violenze verbali e fisiche e da un desiderio di prevaricazione in ogni campo della vita sociale, scommettono soprattutto nella partecipazione attiva alla vita sociale. Questo si esprime nell’esercizio democratico del provare a individuare e scegliere insieme rispetto alle tante e complesse sfide che costituiscono oggi l’agenda pubblica nazionale e mondiale. Mi riferisco in primo luogo al rafforzamento delle istituzioni e delle politiche pubbliche che favoriscono l’affermazione della Pace e la soluzione diplomatica di ogni conflitto attraverso architetture normative ed economiche lungimiranti e sostenibili. Questo processo richiede tuttavia un lavoro artigianale di tipo educativo e culturale che resista alla banalizzazione e alla volgarità del linguaggio, elaborando una grammatica umana in cui sia possibile riconoscersi e condividere la costruzione di un discorso nuovamente comune.
Questa fase storica, resa drammatica dalla recrudescenza delle guerre e agitata in profondità da nuovi conflitti che emergono da nuove e antiche tensioni sociali, esige un discorso e un pensiero coraggioso e disponibile a confrontarsi con tali nuove sfide reagendo alla paura e all’autoreferenzialità che rischiano di essere le alleate più affidabili di poteri senza più regole e limiti. Il Vangelo, oggi e sempre, è un messaggio di salvezza e liberazione, espressione di un potere differente e alternativo da quello mondano, fondato su un Amore infinito che accoglie e coinvolge chiunque si fidi e si lasci colmare da esso.

Il messaggio del Vangelo risuona e riluce nella misura in cui la comunità dei credenti riesce a vivere autenticamente uno stile mite e umile elaborando parole significative, gesti cordiali, segni che interrogano.

Occorre ritrovare proprio in questa Buona Notizia tutta la sua autenticità e concretezza che ci serve anche per resistere all’astrattezza e alla virtualizzazione che caratterizza questa nostra epoca segnata dalla prevalenza di algoritmi dominanti e dalla modernità gassosa dei social media, restituendo spazi di gratuità alle relazioni sovente mercificate da interessi senza scrupoli che alimentano il mercato dei beni relazionali.

Accogliere il Vangelo implica guardare in modo nuovo e diverso la complessità e recuperare la sua intrinseca fragilità, tanto nelle dimensioni costitutive della persona, senza perdersi nella frammentazione degli specialismi tecnocratici, quanto nelle diverse persone, senza cedere alla tentazione di marginalizzare o isolare contribuendo a quella cultura dello scarto che, in primo luogo, è assenza di amore e di condivisione. L’Ac si sente fortemente chiamata in questo tempo a scoprirsi come spazio di rigenerazione delle relazioni e di sintesi solidale e fraterna delle tante tensioni che oggi particolarmente rischiano di polarizzarsi e radicalizzarsi.

Occorre però attrezzarsi ad elaborare un pensiero profondamente empatico, vivente, capace di scavare tra le domande di senso che appaiono passate in secondo piano nella prevalenza del pensiero calcolante. Ignorare il mistero che la vita contiene, rinunciare alla conoscenza come stupore, non riconoscere la forza generativa della gratuità non aiuterà il mondo ad essere migliore. La comunità cristiana oggi è chiamata ad elaborare un pensiero credente capace di «prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo, e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare».

La vita cristiana ci connette in profondità con l’oggi aiutandoci a scoprirlo e contemplarlo come preziosa opportunità per riconoscere il Signore e a ritrovare insieme agli altri uno stile di abitare il tempo presente in modo solidale e condiviso: «Sentiamo di voler abitare questo tempo di cambiamenti e di trasformazioni mai da soli ma insieme agli altri, affidandoci allo Spirito che continuamente ci svela la bellezza della vita comunitaria e la creatività di un’esistenza generosa e grata. In questa fedeltà al tempo presente, in questo stile quotidiano, umile e perseverante, l’Ac riscopre la sua profezia che si fa conversazione di speranza con tutti e tutte».

Giuseppe Notarstefano dal sito nazionale AC

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