L’AC ricorda e ringrazia il Signore per i dieci anni di pontificato di Papa Francesco con le parole del Presidente Notarstefano.
Cosa, del magistero di Papa Francesco, l’ha più colpita?
“Indubbiamente, già da subito, Papa Bergoglio ha avuto un modo di approcciarsi che ci ha aperto il cuore, ponendosi con uno stile ed un linguaggio di pastore che cammina con il popolo. Direi che si è connotato sempre come un Papa che ha voluto rivolgere le sue parole alla vita concreta e quotidiana delle persone, volendole accompagnare senza fare distinzioni né proselitismo, con uno sguardo che ci richiama al profondo dell’umanità di ognuno di noi. È qui, mi pare di capire, che Papa Francesco individua il terreno dove si incontra il Vangelo, ed il suo messaggio, con l’uomo. Un Papa che, in questi dieci anni, ha avuto la capacità di parlare a tutti, con il desiderio di farsi vicino a tutti, camminando accanto all’uomo di oggi e che ha voluto fare di ciò uno stile nuovo di Chiesa, sinodale e fraterna”.
A suo parere, con Francesco, la comunità dei credenti è riuscita a parlare, con più efficacia, all’uomo di oggi?
“A mio parere la bellezza della parola e del magistero di questo Papa parte dall’aver riconosciuto la lucentezza della visione del Concilio Vaticano II, nella quale una realtà come l’Azione Cattolica si ritrova pienamente. In questo senso le parole di Francesco sono state chiarissime: una chiesa di popolo, nel mondo, che riparte dagli ultimi per giungere ad una idea forte di missionarietà. Davanti a certe visioni negative del mondo, pur non nascondendo difficoltà e preoccupazioni, l’idea del Papa è quella che il Signore cammina davanti a noi, è quindi anche questo un tempo abitato da Dio, ed occorre riconoscerlo nella concretezza della storia. Molti pensatori e filosofi ci descrivono il nostro tempo come uno spazio nel quale si vive come se Dio non ci fosse. Eppure si affacciano forti richiami e ritorni alla spiritualità e alla ricerca di una visione positiva dell’esistenza. Francesco ci invita ad andare avanti con fiducia, a ‘non farsi rubare la speranza’, nella certezza che, appunto, il Signore ci cammina davanti. In questa prospettiva è quasi stereofonica l’altra idea della ‘sinodalità’, che altro non è che l’affrontare le difficoltà – nei tempi di grande frammentazione e complessità che viviamo – insieme, anche se è un’epoca di individualismi, spesso esasperati. La Chiesa in questo ha una sua via da offrire, e il Papa ce lo ha mostrato, ed è quella dell’accoglienza, della misericordia e della cura. Partendo dagli ultimi e dai più fragili riscoprendo il cammino della fraternità, costruendo l’umanità con tutti, anche con chi non crede o professa una fede diversa”.
A suo parere, con Francesco la comunità dei credenti riesce a parlare, con più efficacia, all’uomo di oggi?
“A mio parere la bellezza della parola e del magistero di questo Papa parte dall’aver riconosciuto la lucentezza della visione del Concilio Vaticano II, visione nella quale una realtà come l’Azione cattolica si ritrova pienamente. In questo senso le parole di Francesco sono state chiarissime: una chiesa di popolo, nel mondo, che riparte dagli ultimi per giungere ad una idea forte di missionarietà. Davanti a certe visioni negative del mondo, pur non nascondendo difficoltà e preoccupazioni, l’idea del Papa è quella che il Signore cammina davanti a noi, è quindi anche questo un tempo abitato da Dio, ed occorre riconoscerlo nella concretezza della storia. Molti pensatori e filosofi ci descrivono il nostro tempo come uno spazio nel quale si vive come se Dio non ci fosse. Eppure si affacciano forti richiami e ritorni alla spiritualità e alla ricerca di una visione positiva dell’esistenza. Francesco ci invita ad andare avanti con fiducia, a ‘non farsi rubare la speranza’, nella certezza che, appunto, il Signore ci cammina davanti. In questa prospettiva è quasi stereofonica l’altra idea della ‘sinodalità’, che altro non è che l’affrontare le difficoltà insieme e non isolandoci. La Chiesa in questo ha una sua via da offrire che il Papa ci ha mostrato: è quella dell’accoglienza, della misericordia e della cura, partendo dagli ultimi e dai più fragili, riscoprendo il cammino della fraternità, costruendo l’umanità con tutti, anche con chi non crede o professa una fede diversa”.
Il Papa ha detto “di fare politica”, ma nel senso di battersi per la polis, per l’uomo e per i più poveri. Se lo aspettava da un Papa?
“Francesco il 30 aprile del 2017 nel corso dell’incontro per i 150 anni dell’Azione Cattolica ci disse proprio questo: ‘buttatevi in politica, ma quella con la P maiuscola’. Ci chiese insomma di operare per quello che è lo sviluppo umano integrale. Questo approccio lo reputo liberante, perché ci consegna una idea di politica che deve riguardare tutti, del costruire l’amicizia sociale per raggiungere il bene comune, come diceva Papa Benedetto XVI. La politica è lavorare per noi, per la comunità. L’idea di Francesco è questa quando parla di ‘polis’, è una realtà inclusiva e volta al servizio, con scelte ispirate dalla gratuità dell’agire e nella capacità di guardare lontano, come ha auspicato nella ‘Fratelli tutti’. Quello a cui siamo chiamati è di rielaborare insieme pensieri di futuro per ‘riaprire’ piste di agire politico partecipativo.”
Cosa chiede Francesco ad una associazione come l’AC, oggi? E perché le forme associative sembrano ai margini del dibattito socio-politico?
“Soprattutto l’ultima delle due domande è una questione che, per ovvi motivi, ci provoca e ci agita. Da un lato, come comunità, siamo chiamati ad essere sale del mondo, aiutando a fare scelte evangeliche che sono sinonimo di vita, nella direzione di uno stile di abitare la città, la cultura, la società ed ogni ambito dell’agire umano. Diffondere, insomma, parole di impegno e condivisione che restituiscano vita. La questione non è quella di occupare spazi o, peggio, posti di privilegio, ma di raccogliere la sfida evangelica. È ciò che ci chiede il Papa e che stiamo cercando di perseguire, ad esempio, a partire da sfide concrete come il cosiddetto ‘patto educativo’, che ci ha visto sempre attenti, così come nell’ambito più vasto della formazione e della cultura. Altro tema che mi sento di citare, è proprio quello della democrazia. Mettere insieme le persone oggi è davvero complicato, in tempi di così spinti individualismi come quelli che viviamo, associati ad una logica di una competizione che sta diventando insopportabile. Ecco allora che lavorare insieme diventa più difficile. Ma i credenti, tutti insieme, hanno una profezia da portare avanti e sono chiamati a viverla rigenerandosi al proprio interno per costruire una visione comune anche di società dove la gratuità, la cura e la comunità abbiano il giusto posto”.
La Chiesa in Italia quanto ha assorbito del magistero di Papa Francesco e dove fa più fatica?
“Indubbiamente c’è stato un entusiasmo indiscutibile all’inizio di questo pontificato all’interno della Chiesa che, però è stato accompagnato, nei vari anni, da una certa fatica nell’incarnarne le linee più ardite. Me ne resi conto già nel Convegno ecclesiale di Firenze del 2015. Anche il Sinodo in corso, tanto voluto dal Papa, si è messo in cammino con alcune lentezze. C’è uno sforzo di recepimento che passa per uno stile di sinodalità, per certi versi nuovo e certamente più complesso. Ma si tratta di una occasione da non lasciarsi sfuggire. In primis quello dell’ascolto, del cosa chiedono le persone alla Chiesa, base per poi avviare quei cambiamenti pastorali che da più parti si auspicano. Tutte cose che naturalmente comportano una certa gradualità con tante inerzie, se non resistenze, che si stanno incontrando. Ma la Chiesa si è messa in cammino e già nel primo anno di lavori sinodali sono emerse, insieme alle difficoltà, anche cose veramente preziose e inaspettate”.