Avvicinandosi l’inverno, risulta ancora più evidente che il problema dell’energia è un aspetto tutt’altro che secondario di quella cura del Bene Comune intrinseca alla vocazione dei cristiani nel mondo.
Tra le proposte contenute nell’appello pubblicato da Avvenire del 2 agosto, con il titolo “Ecco l’alleanza che serve al paese”, c’era, pertanto, la valorizzazione delle Comunità Energetiche.
Il concetto, è affascinante: le tecnologie attuali rendono fattibile che una comunità di cittadini, anche una parrocchia, unisca le proprie risorse per realizzare un impianto per la produzione di energia rinnovabile dimensionato sulle esigenze locali.
L’idea non è nemmeno nuovissima, nel 2003 l’economista americano Jeremy Rifkin, con il suo “Economia all’idrogeno”, già suggeriva che la possibilità di conservare l’energia attraverso la produzione dell’idrogeno dall’acqua, avrebbe consentito a ognuno di prodursi l’elettricità necessaria attraverso fonti pulite ma intermittenti, quali sole e vento, e mettere in rete il surplus. A Rifkin non interessava tanto la comunità quanto la possibilità di evitare le tensioni geopolitiche dovute alla centralizzazione delle fonti di energia.
Da allora, l’idrogeno è rimasto una tecnologia “promettente” ma di nicchia, come sistemi di accumulo il mercato sembra guardare alle batterie, con la questione di materie prime rare che si portano dietro.
Le leggi della natura, si possono capire sempre meglio ma non aggirare, in questo caso ci richiamano all’importanza di capire bene la dimensione della Comunità.
Banali considerazioni di fisica ci ricordano che un sistema di accumulo è tanto più efficiente quanto più è grande: tante batterie piccole dissipano più energia di una grossa batteria equivalente.
Le energie rinnovabili hanno bisogno di spazio, e anche il territorio, in Italia in particolare, è una risorsa limitata.
Il sistema di energia pulita per eccellenza, più collaudato per il nostro paese, è quello idroelettrico, compresa la sua capacità di accumulare l’energia in eccesso semplicemente ripompando l’acqua nei bacini in quota.
Abbiamo visto nella crisi idrica dell’estate come fosse critico, bilanciare le esigenze di portata di acqua per alimentare le centrali e irrigare i campi.
Sono questi alcuni esempi per dimostrare che la centralizzazione della produzione di energia non è solo un’esigenza delle perfide multinazionali che costruiscono megacentrali, ma anche una risposta alle esigenze del bene comune.
Dove l’iniziativa dal basso deve cedere di fronte alle esigenze di efficienza del sistema a tutela dei più deboli è, pertanto, uno dei nodi principali per la corretta applicazione del principio di sussidiarietà.
L’Azione Cattolica Ambrosiana ha messo, nella scorsa estate, intorno a un tavolo, le principali utilities lombarde per parlare di economia circolare.
La diocesi di Pavia ha scelto il principio di sussidiarietà come tema della Scuola di Cittadinanza e Partecipazione del prossimo anno.
Anche questo è un servizio alla Comunità, anche dopo aver votato siamo chiamati a essere consapevoli delle sfide che attendono noi come singoli ma anche le Istituzioni che abbiamo scelto.