di Don Gianluca Zurra – Assistente Nazionale Giovani AC
La Quaresima arriva quest’anno in un tempo difficile, nel pieno di una delicatissima crisi internazionale. Il dramma della pandemia, da cui stiamo cercando di uscire con fatica, incontra un imprevisto che mai avremmo pensato di rivivere: una guerra nel cuore dell’Europa. La tentazione più forte è quella di cedere alla stanchezza, alla delusione, al cinismo. E invece no! Proprio il cammino quaresimale, come ricorda il Papa nel suo messaggio, è un tempo favorevole di semina coraggiosa, anche e soprattutto quando i buoni frutti non si vedono e sembrano distanti. Così si esprime Francesco: “In realtà, ci è dato di vedere solo in piccola parte il frutto di quanto seminiamo giacché, secondo il proverbio evangelico, «uno semina e l’altro miete» (Gv 4,37). Proprio seminando per il bene altrui partecipiamo alla magnanimità di Dio. È grande nobiltà esser capaci di avviare processi i cui frutti saranno raccolti da altri, con la speranza riposta nella forza segreta del bene che si semina. Seminare il bene per gli altri ci libera dalle anguste logiche del tornaconto personale e conferisce al nostro agire il respiro ampio della gratuità, inserendoci nel meraviglioso orizzonte dei benevoli disegni di Dio”.
La preghiera, il digiuno, la carità possono diventare questi piccoli rivoluzionari semi quotidiani, che ci responsabilizzano e contribuiscono nel silenzio a costruire una cultura di pace. Non sono gesti devozionistici, o di pura circostanza, ma rappresentano un vero e proprio allenamento ad uno stile di vita diverso, umano, sostenibile. L’invocazione ci esercita a ridimensionare in noi ogni disumano delirio di onnipotenza, aprendo con gratitudine mente e cuore a ciò che è più grande di noi e ci precede sempre. Il digiuno ci allena a non essere predatori delle cose e degli altri, ma a ritrovare e gustare un’essenzialità che rende il mondo abitabile per tutti, senza lo scandalo del superfluo che conduce alle disuguaglianze sociali e alle violente competizioni internazionali. La carità vissuta, praticata, ci forgia nella fraternità come cultura sociale, perché si radichi nel mondo come il normale modo di vivere le relazioni e le responsabilità.
Pandemia e guerre ci chiedono così di non cadere nella sindrome delle “lacrime di coccodrillo”, ma di rinnovare, con un bel po’ di profezia, le priorità e gli stili di vita. Come si legge nel messaggio quaresimale dei vescovi italiani, non si tratta di cedere alla tentazione “di un passato idealizzato o di un’attesa del futuro dal davanzale della finestra. È invece urgente l’obbedienza al presente, senza lasciarsi vincere dalla paura che paralizza, dai rimpianti o dalle illusioni. L’atteggiamento del cristiano è quello della perseveranza: «Se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza» (Rm 8,25). Questa perseveranza è il comportamento quotidiano del cristiano che sostiene il peso della storia (cfr. 2Cor 6,4), personale e comunitaria”.
La reazione alla legittima stanchezza di questo periodo, dunque, non è la fuga o la remissività, ma la semina ancora più operosa del Vangelo, che permette di custodire e di far circolare tra tutti gli uomini e le donne di buona volontà ciò che non possiamo permetterci di svendere, soprattutto di fronte al dramma ucraino: la libertà di pensiero, la dignità di ogni essere umano, la trasparenza della verità, la pacificazione fra i popoli, la saggezza e la forza della democrazia.
La Quaresima arriva ancora una volta per questo, con il suo triplice passo silenzioso, eppure forte e deciso: invocare, digiunare, curare, che certo non promettono un rassicurante riposo, possono ridarci fiducia e renderci partecipi di una semina comune a cui seguirà, se non smettiamo di crederci, un’abbondante mietitura. È il sapore di una risurrezione che, in Cristo, è già sperimentabile qui ed ora, perché i drammi che stiamo vivendo non abbiamo mai l’ultima parola sull’umanità.