Con l’occasione del Natale aumentano le richieste, ma, in realtà in tutti i periodi dell’anno, siamo continuamente sollecitati da iniziative di crowdfunding. Questa espressione inglese che sarebbe traducibile in effetti con “colletta”, non è altro che la versione aggiornata a internet della vendita delle torte dopo la Messa per finanziare il campo Scout o la vacanza dell’oratorio. Il bello di internet è che oggi si riescono a raccogliere i soldi senza nemmeno dover fare le torte; qualche problema si pone quando questa modalità è applicata alla ricerca scientifica.
La questione dei finanziamenti della ricerca è molto complessa; si può qui ricordare che idealmente i fondi pubblici per la ricerca dovrebbero essere ripartiti in base a progetti valutati (ebbene sì) dalla politica, in base alla ricaduta attesa sul bene comune, ma anche con il contributo degli scienziati stessi che devono capire quali sono i metodi e le linee sviluppo più promettenti.
Come evitare sprechi dovuti alla malafede o errori di valutazione è appunto la questione sempre aperta e sempre discutibile, l’uso generalizzato del crowdfunding rischia però di orientare non verso ciò che è più utile e promettente in senso scientifico, quanto verso ciò che è più immediatamente comprensibile al pubblico.
Oggi tutti (o quasi) sono d’accordo sul fatto che sia importante trovare una cura per la SARS cov-2, campo dove al momento se c’è una cosa che non manca sono i soldi, ma che dire della ricerca spaziale o delle malattie rare?
Un primo aspetto da considerare è che la ricerca definita di base, se fatta bene, non può essere pre-orientata più di tanto. Ci sono moltissimi esempi di scoperte nelle quali ci si imbatte cercando apparentemente a vuoto in una certa direzione, e poi si rivelano utilissime in un altro campo.
Più importante ricordare che, se alcuni settori sono poco frequentati, può anche essere invece perché sono superati, e, per esempio, non c’è un complotto mondiale contro le auto a idrogeno e i campi elettromagnetici non hanno causato l’epidemia.
Una forma un po’ cresciuta di crowdfunding può essere considerata anche la stessa Telethon, con la quale l’Azione Cattolica collabora anche quest’anno e che, tra l’altro, offre ottimi cuori di cioccolato al posto delle torte.
In questo caso tuttavia, l’obiettivo è la cura di malattie per definizione rare, che più difficilmente possono avvalersi di economie di scala per ridurre i costi. La ripartizione dei fondi inoltre, è decisa sulla base di progetti valutati con i metodi, sempre perfettibili, ma al momento quelli più efficienti, dei comitati scientifici.
La raccolta fondi “dal basso “ su progetti minimi, magari con funzione didattica, può essere affascinante ma rischia di sprecare risorse per riscoprire cose già note o peggio tenere in gioco idee e progetti insostenibili sul piano scientifico.
Il coinvolgimento in progetti di ampio respiro comporta anche il rischio, per molti cattolici, di collaborare con persone e situazioni che presentano criticità dal punto di vista morale. Un esempio spesso citato è che alcune tecniche di produzione dei vaccini possono avere a che fare con tessuti umani provenienti da aborto volontario; più in generale, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità, parla di diritto alla salute universale per le donne, comprende anche l’aborto come diritto.
Questo deve porre i cattolici in posizione critica rispetto ai vaccini o alle campagne dell’OMS nel terzo mondo? Non necessariamente e soprattutto non “a prescindere”: possiamo e dobbiamo chiamare il male con il suo nome ma dobbiamo anche essere capaci di darne ragione agli uomini e alle donne di oggi. Non a tutti può importare quello che c’è scritto in un documento, pur bellissimo, che la Chiesa ha pensato in una certa epoca. Il Vangelo ci è consegnato ancora oggi e quello primariamente dobbiamo annunciare.
Il Signore Gesù, che come ogni anno attendiamo, si è fatto Uomo in un paese conquistato dai pagani e ci ha vissuto per 30 anni senza “prendere posizione”: poi ha cominciato a incontrare alcuni uomini e donne e ha cambiato la storia.