di Paolo Montagna, 07/03/2012
Avere a Milano, vicino a noi, un evento grande come l’Incontro Mondiale delle Famiglie, potervi partecipare con le nostre famiglie e i nostri gruppi, accogliere a Pavia, il 31 maggio, centinaia di persone provenienti da diversi paesi, è un’opportunità forse unica per la nostra Chiesa pavese, e in molti accende entusiasmo e crea forti aspettative.
Sappiamo tutti che questi grandi eventi (pensiamo anche alle GMG) hanno il pregio di far convergere su di essi non solo l’attenzione mediatica mondiale, ma anche una riflessione comune sui temi che essi propongono; di contro, possono avere il limite, se vissuti in modo superficiale, di essere esperienze bellissime ma isolate, cioè di raggiungere solo l’emotività, e non il vissuto quotidiano, della maggior parte delle persone. Dobbiamo tutti evitare il rischio che il 2 giugno molti di noi partecipino entusiasti in massa all’incontro col Papa a Bresso, ma poi la vita delle nostre famiglie, delle nostre comunità parrocchiali, dei nostri gruppi non ne riceva alcun significativo vantaggio. E per questo dobbiamo farci raggiungere, oltre che dall’impatto mediatico dell’evento, anche dal messaggio profondo che papa Benedetto ci offre, conoscerlo, riflettere e confrontarci sul tema proposto all’interno delle nostre comunità. In altre parole, puntare davvero – come tante volte diciamo – a una formazione costante e continua, non sporadica ed episodica, di tutti noi, in tutte le età della vita e in tutti gli ambienti ecclesiali.
Il tema delle Giornate Mondiali di Milano è importante e urgente, e addirittura in Italia è ora di stretta attualità grazie (o per colpa…) di alcune scelte governative degli ultimi mesi in tema di liberalizzazioni e di provvedimenti per il lavoro. “Famiglia lavoro e festa” significa ripensare in profondità all’essenza di ciò che chiamiamo famiglia. E ripensarlo non solo nel dichiararne il valore, ma nel declinarlo nel concreto dell’esperienza di oggi, con i suoi tempi e i suoi modi che si sono fatti sempre più complessi e faticosi.
E’ facile dire che per noi la famiglia è un grande valore quando “tutto è a posto”, cioè quando la famiglia vive in salute, in armonia, nel benessere. Meno facile – lo sappiamo bene, e forse anche per esperienza diretta nostra o di persone a noi vicine – è credere nella famiglia quando la vita “presenta il conto” di prove difficili, che scombinano la linearità della vita familiare, e nei casi peggiori portano a devastazioni anche psicologiche i membri della famiglia: l’esperienza del dolore nelle sue varie forme (malattia, morte, disabilità, vecchiaia, fragilità, abbandono, emarginazione); la crisi del lavoro nei suoi molteplici aspetti (disoccupazione, cassa integrazione o licenziamento, precarietà, mobilità, immigrazione, mancanza di politiche a sostegno della famiglia); le profonde modifiche del tessuto sociale che possono portare a ritmi e tempi (anche il tempo che dovrebbe essere “libero”) stravolti rispetto ai desideri profondi delle persone. E tutte queste prove portano con sé, oltre che grossi problemi pratici ed economici, anche fatica e scoramento: quando subentra un senso di fallimento o di impotenza, il “non ce la faccio più”, una famiglia o una persona si trova spesso sola, in crisi di fronte alla perdita di senso che sembra implicita in queste difficoltà.
Per capire e aiutare ad affrontare questo vissuto così problematico, anche la nostra Diocesi, attraverso il Servizio diocesano per la Famiglia, ha predisposto alcuni momenti di preparazione, dalla rappresentazione teatrale de “La bottega dell’orefice” alla giornata famiglie svoltasi in Carmine a febbraio, al prossimo convegno su “Giovani lavoro e festa” proposto a S.Alessandro il prossimo 15 aprile dall’Azione Cattolica. Sono occasioni – oggi quanto mai necessarie – di incontro e dialogo, semplici e informali, nelle quali ci è chiesto di metterci in gioco, portando noi stessi e la nostra esperienza a confronto con quella dei nostri fratelli e amici.
E chiederci insieme: cosa significa per noi oggi vivere la dimensione familiare, secondo la bellezza della proposta cristiana, in questo momento in cui le esigenze della società sembrano fagocitare ogni attimo della nostra vita? Quando il lavoro impone magari di separare con chilometri di distanza o tempi infiniti di attesa l’amore di due sposi o di un genitore e i suoi figli, o l’amore di due fidanzati che non riescono a realizzare il loro progetto di vita insieme? O quando il “dio mercato” con spot martellanti cerca di inculcare in tutti noi l’idea della necessità assoluta di avere i negozi sempre aperti (come se la nostra felicità dipendesse dall’avere il pane fresco la domenica!), creando cioè un bisogno inesistente per poi poterlo soddisfare “per far girare l’economia”?
Oggi il vecchio detto “il tempo è denaro” è più che mai attuale. Il tempo è la cosa più preziosa che abbiamo, quella di cui più sentiamo la ossessiva mancanza – quando il troppo lavoro o le troppe incombenze ci espropriano dalla nostra vita – o la ossessiva presenza – quando la mancanza di lavoro o la solitudine ci mette di fronte alla realtà di una vita non compiuta.
Viviamo allora insieme questi mesi di preparazione riflettendo su “Famiglia lavoro e festa”, con l’impegno reciproco – anche e soprattutto come comunità cristiana – a fare di tutto (ad esempio impegnandoci a rimuovere tutti gli ostacoli!) perché, qui e ora, in questa nostra società apparentemente disumanizzante, tutti, e in particolare i più “poveri” in tutti i sensi, possano trovare nuove energie morali e materiali per vivere con maggior serenità i tempi e i ritmi del lavoro e della famiglia. Cioè – in un linguaggio cristiano forse desueto ma a mio avviso quanto mai opportuno – la realizzazione della propria vocazione, di uomini e donne, lavoratori, sposi, genitori, cittadini. Cioè davvero cristiani, nel senso più vero e pieno del termine.